Affascina molto l’immagine suggerita da Luigi Cancrini del viaggio esplorativo verso un mondo immenso da scoprire nell’”oceano borderline”. Come in ogni viaggio si attivano i sensi per assaporare lungo il cammino ogni aspetto ricercato e non ricercato. Ci si munisce di una mappa e di tutto l’occorrente per non perdersi o ritrovarsi sprovvisti del necessario.
Ma quale mappa e quali provviste abbiamo a disposizione per compiere questa impresa e conoscere meglio questo mondo? Cancrini nel suo testo rende centrale l’idea che è proprio l’approccio con cui ci si relaziona al mondo borderline che ne determina una scoperta avventurosa e porta ad una cura adeguata. Se “la mappa non è il territorio”, come sosteneva il fondatore della semantica negli anni ‘30 Alfred Korzybski, va tenuto presente che gli occhi con i quali si guarda questo mondo non sono filtrati da lenti descrittive ed attente alla struttura ma esplorano piuttosto il funzionamento complesso di quel territorio. E’ un modo per allargare la mappa proprio partendo da come funzionano i meccanismi della mente, nati anche dalle esperienze infantili.
Ognuno di noi esplora questo mondo nei primissimi anni di vita, nei quali il neonato ha una visione dicotomica dell’oggetto di amore, o tutto buono o tutto cattivo, fino ad integrarlo durante la crescita in una relazione di attaccamento fondata su sicurezza e fiducia.
Nei casi presentati dall’autore viene ben sottolineato come persone con funzionamento borderline appaiono vittime di un dilemma: quando si sentono vicini ad un’altra persona provano panico per paura di un eccessivo coinvolgimento e di un controllo totale; quando si sentono separati, vivono un abbandono traumatico. Questo conflitto centrale della loro esperienza emotiva, che si attiva ad una bassa soglia di attivazione, si esprime nel loro continuo entrare e uscire dalle relazioni, compresa quella terapeutica, dove non si sentono a proprio agio nella vicinanza ma neppure nella distanza. Tutto ciò deriva da un mancato livello di sviluppo di integrazione in fase infantile ed una messa in atto, in età adulta, dei due principali meccanismi difensivi primari, la scissione e l’identificazione proiettiva. Accade spesso che siano eventi traumatici ad incidere profondamente e negativamente su questi processi evolutivi, procurando, ad esempio, una significativa difficoltà per il bambino ad integrare la figura di accudimento che non è presente con quella stessa figura che ritorna. Sulla base di questo pensiero, scorrendo le pagine del testo, si leggono molte esperienze che dimostrano come, tuttavia, questi eventi negativi non hanno una funzione deterministica. Un bambino che ha subìto un trauma non svilupperà conseguentemente un funzionamento borderline; bisogna sempre considerare il tipo di maltrattamento, la sua severità, la durata, la figura abusante ed altri elementi che aumentano la complessità. Questo permette di entrare nelle situazioni e di tentare di curarle prima di porre qualsiasi diagnosi di incurabilità. Cancrini favorisce l’esplorazione di un luogo vasto, sfaccettato e poco demarcato attraverso un lavoro terapeutico che nasce prima di tutto da una alleanza da conquistare con il paziente e poi da una specificità degli interventi che considera a quale livello di funzionamento psichico è avvenuto un evento traumatico.
La profondità della superficie tipica di un oceano e la speranza nella reversibilità possono meglio riassumere ciò che può caratterizzare il lavoro tra paziente borderline e terapeuta in un viaggio alla scoperta di terre nuove ed inesplorate.